di Rocco Panetta
Julian Assange, chi è costui? Già: possiamo ben sentire giovani e meno giovani pronunciare la famosa manzoniana frase, senza distogliere gli occhi dal sempiterno rullo di TikTok o Instagram.
E, ciò che è peggio, i social sono in buona compagnia. Anche se in questi giorni si sta svolgendo quello che molti hanno definito il “processo del secolo”, la resa dei conti nel controverso caso Wikileaks, quasi nessun giornale e media, sembra interessarsene. E guardate che non sono solo i media italiani: anche in Australia, terra natale di Assange, c’è la stessa lamentela.
Eppure dall’esito della vicenda dipende molto del loro futuro. In bilico, ci sono alcuni capisaldi della democrazia e svariati diritti civili.
Perché – ricordiamo – ciò di cui Assange è accusato dagli Usa, con una possibile condanna a 175 anni, “è principalmente una descrizione del signor Assange impegnato in attività giornalistiche basilari, ossia coltivare una fonte per fornire informazioni – l’attività giornalistica più elementare e universale”, come detto da Jameel Jaffer, professore di diritto e giornalismo alla Columbia University, durante l’udienza di estradizione di Assange. E – ricordiamo ancora – senza queste attività del suo Wikileaks e la collaborazione dell’ex militare americano Chelsea Manning, i principali giornali del mondo non avrebbero pubblicato migliaia di documenti segreti relativi alle guerre americane in Iraq e Afghanistan, nel 2010.Tra l’altro, non avremmo saputo che un elicottero Apache degli Stati Uniti ha sparato su un gruppo di civili a Baghdad, mentre – com’è risultato in un video della vicenda – i soldati potevano ridevano e faceva commenti sprezzanti sulle vittime. Tra i morti c’erano due giornalisti Reuters, e l’elicottero ha sparato anche su un veicolo arrivato sul posto per cercare di aiutare i feriti.
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