Di Vincenzo Tiani
Meta è stata chiamata in causa dagli editori spagnoli per concorrenza sleale, avendo imposto ai suoi utenti la profilazione a scopi pubblicitari. Questa scelta ha sottratto importanti risorse economiche al mercato pubblicitario su cui i giornali contano per il proprio sostentamento.
Giornali, social media e business model
Da qualche tempo il business model dei social media e dei giornali ha iniziato a vacillare. Nel 2018, a pochi mesi dall’entrata in vigore del Gdpr, il mondo scoprì, con lo scandalo Cambridge Analytica, cosa può succedere quando i propri dati personali non sono gestiti in modo appropriato dalle aziende. Il tutto accadeva cinque anni dopo l’altro grande scandalo, quello rivelato dall’ex agente della Nsa Edward Snowden, che in quel caso riguardava l’uso improprio dei dati da parte dei governi.
Complice anche l’entrata in vigore del Gdpr e un rinnovato vigore di associazioni, come la Noyb di Max Schrems, e di Autorità Garanti della privacy, nazionali ed europee, l’idea dello scambio tra dati personali e servizi si è meritata da un lato una maggiore attenzione, dall’altro è stata riconosciuta a livello istituzionale, tanto che nella direttiva europea 770 del 2019 sui servizi digitali, se ne parla come di un dato di fatto.
L’inizio della fine: dal Gdpr alla concorrenza
In questi anni tutti i social media hanno cambiato più volte la base giuridica attraverso cui trattano i dati personali degli utenti, alternandosi tra consenso, contratto e legittimo interesse. La differenza tra i tre è che nel primo caso serve il consenso espresso dell’utente per essere profilato, nel secondo la profilazione è considerata necessaria (e dunque obbligatoria) per poter offrire il servizio, e nel terzo la profilazione viene fatta nell’interesse dell’azienda ma l’utente può, solo successivamente all’iscrizione, di non esservi soggetto.
Negli ultimi anni di sono susseguiti diversi giudizi, sia negli Stati Membri che a livello comunitario, che hanno smantellato l’interpretazione secondo cui sia possibile ricorrere al contratto e al legittimo interesse, lasciando il solo consenso sul piatto. Il 4 luglio 2023 è arrivata una sentenza che molti addetti ai lavori aspettavano da tempo, quella della Corte di Giustizia europea (Meta vs Bundeskartellamt, C-252/21), chiamata a pronunciarsi su un caso iniziato davanti all’Antitrust tedesca.
Questo uno dei passaggi cruciali (par. 149 e 150):
Inoltre, l’esistenza di una siffatta posizione dominante è tale da creare uno squilibrio evidente, ai sensi del considerando 43 del RGPD, tra l’interessato e il titolare del trattamento, squilibrio che favorisce, segnatamente, l’imposizione di condizioni che non sono strettamente necessarie all’esecuzione del contratto […] Pertanto, tali utenti devono disporre della libertà di rifiutare individualmente, nell’ambito della procedura contrattuale, di prestare il loro consenso a operazioni particolari di trattamento di dati non necessarie all’esecuzione del contratto, senza essere per questo tenuti a rinunciare integralmente alla fruizione del servizio offerto dall’operatore del social network online, il che implica che a detti utenti venga proposta, se del caso a fronte di un adeguato corrispettivo, un’alternativa equivalente non accompagnata da simili operazioni di trattamento di dati.
Di questa sentenza sono tre le cose da registrarsi: la Corte dice in modo esplicito che il contratto (e quindi l’obbligo per l’utente) non è un’opzione valida per profilare gli utenti a scopo pubblicitario; che la piattaforma Meta potrebbe offrire, dietro adeguato pagamento, una alternativa senza la personalizzazione; che le discipline della protezione dei dati personali e della concorrenza tenderanno sempre più a convergere nel contesto della data economy.
Giornali vs Big Tech
Il tema della profilazione pubblicitaria riguarda da vicino anche i giornali. Da oltre un anno, infatti, molti giornali (nda: non Wired) hanno modificato il loro cookie banner chiedendo all’utente di accettare il consenso alla profilazione se vuole continuare a leggere gli articoli che non sono dietro paywall. In alternativa, all’utente viene chiesto di pagare un piccolo obolo (circa 2 euro al mese), per compensare la perdita dei mancati introiti derivanti dalla profilazione. La legittimità di questa scelta, tuttavia, è ancora al vaglio del Garante della privacy, non solo in Italia.
I giornali, del resto, sono da anni in contesa con i social network e le grandi piattaforme visto che Meta e Google, da sole, attirano la fetta più grande del mercato pubblicitario online. La prima vittoria, su un altro campo di battaglia, l’hanno ottenuta con la riforma europea del copyright del 2019, che ha imposto alle piattaforme di pagare un compenso per la pubblicazione degli articoli sulle piattaforme.
L’ultimo capitolo di questa battaglia si apre invece in Spagna, dove El Pais riporta che l’associazione degli editori, Information Media Association (Ami), ha chiamato in causa Meta denunciando che, l’uso continuativo illegittimo, acclarato dalla Corte di Giustizia europea a luglio e dal Garante irlandese a gennaio, della base giuridica del contratto al posto del consenso, ha drenato per anni le limitate risorse pubblicitarie lontano dai giornali, portando a una illecita concorrenza in quel mercato. L’associazione, che rappresenta oltre 80 media spagnoli tra cui El Pais, El Mundo, Abc e La Vanguardia, chiede per questo 550 milioni di euro di risarcimento, calcolato sul periodo intercorso tra il maggio 2018 (entrata in vigore del Gdpr) e il luglio 2023 (data della sentenza della Corte).
Come riporta Tech Crunch, c’è una nota ironica in questa vicenda. Meta (ma non è la sola), come sappiamo, ha da poco presentato il suo modo di adeguarsi offrendo, come alternativa alla profilazione, la possibilità di pagare un abbonamento mensile tra i 10 e i 13 euro. Questa soluzione, al vaglio dei garanti europei, è ritenuta altrettanto invalida dagli editori spagnoli che parlano di un consenso forzato. Ma, come si diceva, questa è una opzione simile a quella adottata da alcuni editori europei, anche se non possiamo dire con certezza quanti di questi siano spagnoli. Sul punto poi bisognerà vedere quanto, in questa nuova modalità scelta da social media ed editori, incida, da un lato, il livello di concorrenza presente sul mercato (quanti sono i social network? quanti i giornali?) e, dall’altro, il prezzo richiesto (quanto viene chiesto dai social network? quanto dai giornali?).
Intanto, tutto potrebbe ancora cambiare visto che la Commissione europea è in procinto di presentare ufficialmente il risultato dell’annunciato cookie pledge, una iniziativa su base volontaria in cui gli aderenti presenteranno i loro cookie banner in modo più rispettoso del consumatore. Una delle novità anticipate da Euractiv prevede proprio che, in presenza di un approccio “paga o sarai profilato”, sia prevista una terza via in cui la pubblicità si basi sul contesto e non sulla personalizzazione. Per semplificare, se seguo post e notizie di sport vedrò pubblicità a tema sportivo, e così via. Certo è che il mercato pubblicitario sta vivendo una grande fase di riassestamento e aziende e autorità saranno chiamate a vigilare ed agire di conseguenza.
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