Di Rocco Panetta
Una delle principali critiche mosse all’AI Act, ma in generale alla Commissione europea, è che il recente pacchetto normativo che regola il digitale punta troppo sulle regole e poco sullo sviluppo delle aziende europee, che possano competere con le americane e le cinesi in primis.
Le politiche europee a favore dello sviluppo tecnologico
Bisogna riconoscere che, laddove gli Stati Uniti siano piuttosto allergici alle regole, le loro aziende, presenti in quasi tutto il mondo, riescono comunque a influenzare in qualche misura le politiche dei Paesi in cui sono presenti, essendo i loro prodotti e servizi usati da milioni di persone ovunque nel mondo. D’altro canto, anche gli Stati Uniti e la Cina hanno capito di recente che occorre regolare anche i propri unicorni se i governi stessi non vogliono favorire la crescita senza freni di attori che in alcuni casi fatturano quanto un piccolo Paese.
A ogni modo, sarebbe ingiusto dire che l’Europa si occupa solo di regole e non di investimenti e misure a sostegno dell’innovazione. Negli ultimi anni si sono sviluppate politiche a favore dello sviluppo di chip, quantum e super computer (Bologna ne ospita uno), connessioni 5G e presto 6G. Se lo sviluppo di super computer aiuterà le aziende e le startup a sviluppare i propri modelli di intelligenza artificiale potendo sfruttare una potenza di calcolo di cui oggi solo le big tech dispongono, anche l’AI act ha previsto alcune norme a sostegno delle aziende che sono state potenziate nella versione finale del testo.
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