di Rocco Panetta
Il 23 febbraio la Commissione Europea ha pubblicato la sua proposta di Data Act, uno degli ultimi tasselli nella strategia digitale europea per costruire e fondare le basi della data economy dei prossimi anni.
Incentrato sul diritto alla portabilità dei dati, anche non personali, per cittadini e imprese dell’Unione.
I dati riportati dalla Commissione per giustificare l’esigenza di questa proposta legislativa parlano chiaro: si parla di una quantità di dati generati che va dai 33 Zetabyte del 2018 ai 175 previsti nel 2025, con un valore economico per i servizi connessi che va dai 5 agli 11 trilioni di euro a livello globale entro il 2030 e un risparmio atteso di 120 miliardi nel solo settore sanitario nell’Unione europea.
Le previsioni della Commissione parlano di un PIL aggiuntivo di 270 miliardi da qui al 2028, grazie alle nuove norme per lo scambio di dati e un aumento della produttività dal 5 al 10% per tutte quelle aziende che vogliono investire in strumenti innovativi data-driven.
Diritto portabilità dati
Il Data Act vuole potenziare quanto già previsto dall’articolo 20 del GDPR sul diritto alla portabilità dei dati, un diritto in realtà che ancora fatica ad esprimere il suo pieno potenziale, ma che con il Data Act riguarderà non solamente i dati personali ma qualsiasi tipo di dato generato attraverso l’uso di devices connessi, valga questo per gli interessati o per le aziende stesse. Il Data Act prevede infatti la possibilità di accedere a tutti i dati generati, senza eccezioni, fermo restando ovviamente quanto previsto dall’articolo 20 del GDPR.
Sono previste delle eccezioni solamente per le piccole e medie imprese che sono esentate da queste nuove obbligazioni.
Resta interessante, anche se forse si poteva fare di più in tal senso, la possibilità anche per gli enti pubblici di accedere ai dati delle aziende, ma solo entro limitate eccezioni giustificate da un pubblico interesse.
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