di Vincenzo Tiani
Il Garante europeo della privacy vuole un cambio di passo sul modo in cui il regolamento europeo sulla protezione dei dati, il Gdpr, viene fatto rispettare in Europa. Dopo quattro anni dalla sua entrata in vigore e dieci anni dall’inizio dei lavori delle istituzioni europee per aggiornare le norme sulla protezione dei dati, il Gdpr fa il suo esame di coscienza.
Il 16 e 17 giugno si è tenuta a Bruxelles una conferenza per fare il punto sull’applicazione del regolamento, organizzata e fortemente voluta proprio dal garante europeo della privacy Wojciech Wiewiórowski, perché “le cose che possono essere definite ora dovrebbero essere definite ora, non in un futuro imprecisato”.
Non ci sono troppi giri di parole nel discorso finale del garante che ritiene che il Gdpr sia ancora difficile da far rispettare, soprattutto quando si parla di Big Tech. Tra gli ostacoli ad una migliore e e più efficiente implementazione Wiewiórowski cita “una ripartizione disuguale degli oneri; differenze di diritto procedurale che ostacolano la cooperazione (tra le autorità); lo scarso e tardivo coinvolgimento del comitato dei garanti europei”.
Una norma a velocità diverse
Come si nota da anni, nonostante il Gdpr sia stato scritto per essere scalabile, senza richiedere un “impegno” di pmi e multinazionali in egual maniera, e pur prevedendo meccanismi di collaborazione tra le autorità per gestire i casi più complessi, l’effetto riscontrato in questi primi quattro anni è che il peso si è sentito molto per le pmi e poco per le Big Tech. Per Wiewiórowski queste ultime, forti delle maggiori risorse economiche e della lentezza delle autorità, non hanno subito troppo gli effetti del nuovo regolamento e hanno potuto continuare ad approfittare della propria posizione di favore rispetto ai competitor più piccoli. D’altro canto, le persone che hanno fatto reclamo davanti alle autorità garanti aspettano anni prima di vedere rispettati i propri diritti, anche quando si tratta di casi molto semplici.
…
Continua a leggere su Wired Italia